Identità. Una parola che racchiude il senso di quello che ciascuno di noi è e allo stesso tempo non è.
L’identità è l’insieme di quelle caratteristiche che ci contraddistingue nella nostra unicità e che include aspetti di noi che conosciamo, che sono ancora in divenire, che ci attribuiamo consapevolmente, ma anche quegli aspetti di noi che mettiamo in campo senza rendercene conto o che non vorremmo avere e tuttavia ci appartengono. Identità è qualcosa che c’è e allo stesso tempo che si realizza giorno per giorno, non è mai fissa.
Identità è chi sono io, risponde alla domanda che da adolescenti ci poniamo spesso e che in fondo non smettiamo mai di porci per tutta la vita perché l’identità cambia, si espande nel tempo.
L’identità dipende dalla nostra storia, per certi versi parte di essa esiste già prima che veniamo al mondo perché esistiamo già nella mente dei nostri genitori prima ancora di nascere, esiste nelle loro fantasie, poi nel loro modo di vederci e per tutta la vita risente dello sguardo degli altri.
L’identità è sempre un po’ anche sociale per questo motivo perché viviamo in relazione con gli altri e siamo esposti continuamente alle loro percezioni, alle loro aspettative, alle loro attribuzioni e alle loro interpretazioni, alla loro idea di chi siamo noi, che non sempre combacia con quello che noi sentiamo di essere o pensiamo di essere.
L’identità ha sempre una storia e in questo senso si sviluppa, è come una creatura che cresce indipendentemente dal fatto che lo vogliamo o meno.
Si sviluppa, ma il fatto che si sviluppi non dice assolutamente sulla sua direzione e non ci dice soprattutto se la sua evoluzione vada verso una maggiore autenticità, perché si può vivere tutta una vita nel tentativo di accontentare gli altri.
Ecco perché quando parlo di identità con i miei pazienti mi piace dire che l’identità personale si conquista, perché per diventare chi siamo ci vuole una vita e soprattutto ci vogliono delle scelte, delle lotte portate avanti su un campo di battaglia che non ci lascia mai senza ferite.
E questo accade perché nel fare una scelta per noi stessi inevitabilmente scontenteremo qualcun altro, qualcuno che avrebbe voluto che fossimo diversi, qualcuno che perderà potere su di noi, qualcuno che pensa che per il nostro bene dovremmo essere, pensare e fare cose differenti, qualcuno che sembra dipendere interamente da noi.
L’identità personale è una conquista e la si ottiene mettendo un confine fra quello che gli altri si aspettano e quello che sentiamo noi, la si ottiene accettando che per essere autenticamente chi sono devo dare credito e valore ai miei bisogni, anche se questo significherà tradire i bisogni delle persone che amo. Innanzitutto quelli dei propri genitori. L’autenticità dell’identità personale passa per il sentirsi almeno una volta nella vita dei figli cattivi, nell’assumersi il rischio che madri e padri dovranno arrangiarsi anche senza che noi ci preoccupiamo costantemente per loro, senza che cerchiamo di renderli fieri, senza che tentiamo di prenderci cura del loro benessere sacrificando il nostro.
Significa segnare un confine dentro di noi, fra noi e loro, e accettare che per questo ci sentiremo terribilmente in colpa.
A questa conquista se ne aggiungeranno altre, non meno difficili, perché come dicevo l’identità si conquista giorno per giorno, lo si fa dentro alle relazioni e sempre ad un prezzo: quello di sentirsi dei mariti o mogli egoiste, delle madri o padri meno presenti, dei lavoratori o lavoratrici meno efficienti. In sostanza passa per il prendere consapevolezza e confidenza con i propri limiti e con la certezza che se sono come sono non andrò bene a tutti, che qualcuno mi abbandonerà, che anche chi mi incoraggiava ad essere più me stesso non sarà tanto entusiasta quando lo farò. Si tratta di scegliere quello che mi serve rinunciando a quello che non mi serve.
L’identità è autentica quando non dobbiamo essere a tutti i costi “diversi da”; per esempio da madri e padri a cui mai avremmo voluto somigliare. È autentica se posso riconoscere la mia appartenenza. Ed è autentica quando non dobbiamo essere a tutti i costi “simili a”; per esempio a quell’idea che gli altri si sono fatti di me o a quello che tutti vogliono che io sia. È autentica se posso riconoscere la mia differenza.
Essere chi siamo autenticamente significa essere più soli e sperimentare un vuoto iniziale, uno sbandamento e un non sapere dove andare, rischiare di continuare da soli sulla propria strada. Ma significa anche vivere a pieno, subito dopo, sentire che forse stiamo tradendo qualcuno ma di certo non stiamo tradendo più noi stessi. Significa dare un senso e un valore alle nostre preziose vite e vivere con più coscienza questo viaggio il cui senso, probabilmente, altro non è che avvicinarci ogni giorno di più a chi siamo davvero.