La messa al mondo di un figlio ha sempre ha che fare con la “generatività”, ovvero con la volontà e la “capacità di prendersi cura delle persone, dei prodotti e delle idee verso cui si è preso un impegno” (Erikson, 1982).
Quando una coppia si trova nell’impossibilità di procreare, spesso ricorre alla fecondazione assistita e, in caso di insuccesso, abbraccia l’idea dell’adozione.
I dati disponibili indicano infatti che nel 78% dei casi le coppie richiedenti l’adozione vivono una condizione di infertilità mentre solo nel restante 22% le coppie hanno già figli o esperienze di gravidanze interrotte.
All’origine dell’adozione c’è sempre il “bisogno del figlio” che la coppia avverte, specie se vive una condizione di infertilità: il figlio immaginario viene spesso idealizzato e il suo arrivo viene investito di funzioni riparative e compensative. In altre parole, spesso la coppia bypassa l’elaborazione del dolore dell’infertilità investendo nel futuro arrivo del bambino adottivo, come fosse in grado di guarire tutte le ferite.
Se la coppia resta ferma su questa posizione e non passa dal “bisogno del figlio” al “desiderio del figlio”, rischia di non riuscire a creare il legame adottivo: questo passaggio, infatti, segna lo spostamento della coppia da aspettative di riparazione legate all’adozione ad una posizione generativa orientata al riconoscimento e all’accoglienza del bisogno del bambino. Aspetti riparativi e compensativi restano sempre vivi; ciò che importa è che non prendano il sopravvento e che riescano a coesistere con gli elementi generativi.
L’importanza di questa evoluzione è legata alle caratteristiche stesse dell’adozione, come esperienza che affonda le sue radici nella doppia mancanza: la mancanza della realizzazione del bisogno di maternità-paternità da parte della coppia, ma anche la mancanza di una famiglia da parte del bambino.
L’adozione ha successo nella misura in cui entrambe le mancanze sono elaborate ed incanalate entro un comune impegno generativo, in cui la somiglianza e la comune appartenenza non cancellino la differenza originaria del figlio (genetica, etnica, culturale).
Alla luce di quanto fin qui illustrato si comprendono le ragioni che sono alla base della normativa italiana (L. 184/83 e successive modifiche), la quale vincola l’accettazione della domanda di adozione da parte del Tribunale dei Minorenni alla valutazione e all’accertamento dell’idoneità adottiva della coppia da parte dei Servizi incaricati o di un CTU (valutazione che prende in esame molti aspetti relativi alla persona e alla sua storia, alla relazione di coppia, alle risorse delle famiglie di origine dei coniugi, alle fantasie sul figlio e alle aspettative sull’adozione).
Pertanto, durante l’iter adottivo, svolge un ruolo fondamentale lo psicologo, in particolare lo psicologo forense (e si comprendono i motivi della costante crescita, delle richieste di consulenze di questi professionisti), sia preventivamente quando è il momento di “guardarsi dentro” per poter avere il giusto approccio ad una scelta tanto delicata, sia quando le coppie dichiarate idonee sentano l’esigenza di approfondire alcune tematiche emerse durante la valutazione dei Servizi, per prepararsi all’arrivo del figlio, e sia quando, dichiarate non idonee dal Tribunale dei Minori, vogliano richiedere una nuova valutazione per ripresentare la richiesta di adozione dinanzi alla Corte d’Appello.