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Narcisismo: la fragilità del Sè dietro alla grandiosità

 

Quando si parla di narcisismo vi si attribuisce il più delle volte un valore negativo, perché il concetto richiama alla mente l’immagine di un individuo borioso, pieno di sé, con convinzioni di onnipotenza e grandiosità; un individuo che, forte della convinzione di essere meglio di chiunque, guarda tutti dall’alto verso il basso.

Il narcisismo in verità è una componente dell’identità personale che tutti abbiamo e che ha prima di tutto una funzione positiva: un narcisismo “buono”, ben funzionante, ci permette di attribuirci un valore e di stare bene con noi stessi, di stabilire relazioni proficue con gli altri, di tollerare le frustrazioni, di accettare i nostri limiti e di riconoscerci dei meriti.
Perché ciò avvenga, il processo di nascita e sviluppo del nostro Sé, deve essere andato a buon fine e deve aver avuto luogo senza grossi intoppi.

Quando nasciamo, infatti, non siamo capaci di percepirci come esseri separati dal mondo; non esiste un Tu e per questo è come se non esistesse nemmeno un Io.

É grazie a chi si prende cura di noi, generalmente la mamma, nelle primissime fasi di vita, che noi impariamo che siamo esseri separati dal mondo, che esistiamo e che esistono anche gli altri come unità distinte da noi.
E impariamo a riconoscerci grazie ai nostri bisogni (fame, sonno, coccole, dolore, ecc.), o meglio nella misura in cui la nostra mamma o chi si prende cura di noi sa rispondere in modo adeguato ai nostri bisogni. Le risposte della mamma ci faranno capire, in una dinamica di “rispecchiamento”, quali sono i nostri bisogni. Ci sentiremo amati, sentiremo che qualcuno si prende cura di noi, a volte avremo qualche frustrazione quando la mamma non indovinerà cosa vogliamo o non potrà concedercelo subito, e così cresceremo con un narcisismo “buono”: sapremo di essere persone amabili, sapremo che esistiamo noi quanto gli altri, sapremo che non tutto quello che vogliamo può realizzarsi sempre e subito.
Questa è la base del Sé.

Ma cosa accade quando la mamma o chi si prende cura di noi non riesce rispondere adeguatamente ai nostri bisogni? Cosa accade se ogni volta che abbiamo fame ci copre, se ogni volta che abbiamo freddo ci allatta, se ogni volta che abbiamo sonno ci stimola con dei giochini e se quando abbiamo voglia di contatto ci mette a dormire?
Accade che impareremo un po’ per volta a pensare che quando abbiamo fame in realtà abbiamo freddo e viceversa, o che quando abbiamo sonno in realtà vogliamo giocare e viceversa. In altre parole, impareremo a definirci, sentirci e vederci, con gli occhi degli altri e non con i nostri. Impareremo che per sopravvivere bisogna accontentare le richieste degli altri, diventeremo bravissimi a coglierle prima ancora che le esprimano, diventeremo quello che gli altri vogliono che siamo, finiremo per ignorare quello che sentiamo davvero, fino a non saperlo più riconoscere.
É così che si sviluppa un narcisismo “cattivo” e un Sé fragile.

A partire da questa fragilità narcisistica del Sé e da questo senso di disvalore, la persona cresce e impara a proteggersi in due modi diversi: sviluppandosi in senso depressivo oppure orientandosi verso una convinzione di grandiosità.
Nel primo caso, prevarrà nella persona la sensazione di non essere mai abbastanza, per cui saranno frequenti i sentimenti di invidia verso chi è percepito sempre come migliore di sé; le relazioni con gli altri saranno ricercate e i legami che la persona stabilirà saranno strettissimi, soffocanti per l’altro che avrà la sensazione di essere vampirizzato.
Nel secondo caso, la persona si difenderà dalla sensazione di disvalore personale attraverso il controllo onnipotente, convincendosi di essere meglio di chiunque altro; e perché questa idea regga, la persona dovrà sempre screditare e squalificare gli altri, nel timore angosciante di perdere il confronto con loro, dovrà convincersi di non avere bisogno di legami perché la possibilità di un abbandono risulta intollerabile.

Anche se queste due tipologie di persone sembrano assai diverse (senz’altro lo sono nelle modalità relazionali e nelle difese), di fatto hanno lo stesso nucleo di fragilità interna.

In entrambi i casi, la persona vive una grande paura della relazione e un contemporaneo bisogno di stabilirne una, restando in bilico fra il timore della fusione e l’angoscia della separazione. L’altro non è mai riconosciuto come separato da sé e dotato di una propria individualità, bensì utilizzato per sostituire aspetti fragili della propria identità, perchè è proprio dalla relazione che la persona trae nutrimento identitario. I bisogni di chi ha un narcisismo ferito finiscono per prevalere sempre su quelli dell’altro: la persona con Sé fragile assume un comportamento parassitario e ciò impedisce al legame di crescere ed arricchirsi. L’individualità non è ammessa perchè richiama l’idea di separazione e chi ha bisogno dell’altro per esistere non può permettersi di perderlo.
Per questo motivo, le persone con narcisismo fragile tendono ad attivare comportamenti di controllo dell’altro per scongiurarne la perdita, ogni volta che sentono la minaccia di una separazione/allontanamento, fino a degenerare in forme patologiche quali lo stalking e la violenza.

 

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